Published on Dicembre 7th, 2014 | by Antonio Tortolano
0Mano nella mano. Megamusic intervista Sergio Cammariere
Oggi abbiamo il piacere di ospitare sul nostro magazine Sergio Cammariere. L’artista crotonese nello scorso mese di settembre è tornato sulle scene musicali con un nuovo album Mano nella mano. Undici tracce, dieci canzoni e un brano strumentale dove il jazz si unisce alla tradizione cantautoriale italiana e alla sonorità dell’Africa Mediterranea e del Sud America. Le collaborazioni di rilievo sono diverse: da Fabrizio Bosso a Roberto Taufic, da Antonello Salis a Bruno Marcozzi, passando per Alfredo Paixao e Gegè Telesforo. Un ricordo di Bruno Lauzi è una delle perle all’interno di questo lavoro. Dal Petruzzelli di Bari è partita, il 22 novembre, la tournèe teatrale di Sergio Cammariere che ci racconta come è nato Mano nella mano...
Dopo due anni di “silenzio” ecco Mano nella mano Come nasce questo nuovo album?
E’ stato realizzato con un’equipe di musicisti di cui mi fido ciecamente e che collaborano con me da sempre. Abbiamo puntato sul suono, molto limpido, è il migliore sotto questo punto di vista perchè la ricerca è avvenuta cercando di far convivere al meglio un pianoforte, una chitarra e anche la fisarmonica. Diciamo che c’è stato un grosso lavoro di editing per permetterci di suonare tutti insieme.
Come è avvenuta la selezione dei pezzi?
Ho lavorato a circa 20-25 canzoni, alla fine ne ho registrate circa diciotto per arrivare alle dieci canzoni che sono entrate a far parte di questo album. Ci sono dei brani che non ho pubblicato adesso ma che inserirò la prossima volta, in particolare ho un pezzo che da tre dischi non riesce a entrare in un album perchè troppo funky e diverso dal resto, ma le possibilità sono tante e non escludo di pubblicarlo più avanti. Le sorprese sono già tante in Mano nella mano…
E’ apprezzabile all’ascolto dell’album l’influenza di una terra così particolare come l’Africa. Cosa l’ha colpita e quali sono state le fonti di ispirazione?
Indubbiamente in Africa c’è una grande ricchezza culturale e musicale, ci sono dei canti di musica gnawa che riescono ad entusiasmarmi nonostante abbiano un accordo solo, musica povera ma ricca di ritmo, è molto stimolante per la ricerca di sensazioni e suggestioni nuove.
Faccio un esempio, il brano “Ed ora” nasce da un giro di basso riff gnawa che ho assimilato ad Essaouira tramite un maestro di questo tipo di musica, lui mi ha fatto sentire l’inizio della canzone che è un traditional di questo genere, poi ho sviluppato tutto il resto in Sol maggiore. E’ un canto di libertà e di fratellanza.
Quali sono le differenze tra questo lavoro e i precedenti “Carovane” del 2009, “Sergio Cammariere” del 2012?
Ritengo di aver raggiunto con questo album la maturità artistica. Mi sono posto in modo umile ad osservare e raccontare il mondo esterno, filtrandolo con la mia sensibilità. Poi, sempre per il concetto a me caro di condivisione, ho portato nel progetto musicisti eccezionali, e per i testi coinvolto oltre a Roberto Kunstler anche Giulio Casale. Ho provato in passato a scrivere dei testi, ma proprio per il mio approccio umile alla vita ed alla musica di fonte alla poesia di autori così bravi non posso che inchinarmi.
Le incertezze di marzo è decisamente il pezzo più jazz dell’album. Un brano molto malinconico, ci racconta qualche aneddoto?
E’ un brano jazz in un album dai ritmi latini, è una gran bella storia. La canzone è nata con Giulio Casale, con il quale lavoro da qualche anno.
Gli avevo chiesto di mandarmi qualche verso che potesse ispirarmi la musica. E i suoi due versi furono: a cosa serve la vita non so / non credo serva a vincere, che è l’incipit del brano. Io ho avuto questo foglio in giro per diversi mesi e mi leggevo questa frase, e ho continuato praticamente finché non mi è venuta una musica, poi è nata la strofa, è nato l’inciso e ho richiamato Giulio per fargli ascoltare la canzone. Pian piano abbiamo finito il testo insieme. Essendo il brano più jazz dell’album, dà l’occasione a uno dei miei cari musicisti, Fabrizio Bosso, di esprimersi al meglio. “Incertezze di marzo” è un po’ il brano di questo nuovo album più vicino al mondo di Luigi Tenco, che era un jazzista e scriveva canzoni con questo tipo di accordi.
C’è sempre un pezzo strumentale nei suoi dischi. In questo caso “Pangea”. Ha mai pensato di fare un disco tutto strumentale?
Il percorso delle mie canzoni è questo: io scrivo le musiche spesso immaginandole come colonna sonora di un film immaginario e Roberto ci mette i testi. Ho pensato di fare un disco strumentale e non escludo possa accadere in futuro, ma poi reimango talmente rapito dalle parole di Kunstler che non posso fare a meno di renderle in forma canzone. La mia ricerca musicale credo sia arricchita da testi così intensi.
Bruno Lauzi è presente nel tuo album. Un suo ricordo di questo grande artista…
Prima di conoscerlo personalmente nel ’96, ovviamente conoscevo la sua musica e le sue canzoni. Venne a casa mia, cominciammo a suonare tutti i brani che ci passavano per la mente. Da As time goes by a When I fall in love, passando per Sweet Baby James e Walking Man di James Taylor. Ovviamente lui cantava ed io ero al piano. Improvvisamente Bruno prese la chitarra e suonò una serie di canzoni bellissime che non conoscevo, tra queste “Io senza te, tu senza me“. Visto il grande e comune amore per la musica brasiliana è stato naturale per me inserirlo in questo disco. Un omaggio ad un artista che non va dimenticato. Ha fatto tante cose nella sua carriera: il cabaret, lo scrittore, il cantante, il poeta e ci ha lasciato delle grandi canzoni. E’ stato secondo me anche vittima del periodo storico caratterizzato dalla crisi della musica, che da troppo tempo ormai, in Italia, si è orientata verso un mercato omologato che non mira più alla qualità. Quando raggiunsi il successo con Sanremo nel 2003 mi fece capire che quello per me doveva rappresentare un nuovo inizio, per spingermi oltre, andare sempre avanti nella ricerca musicale, con umiltà e passione, considerandolo solo un momento di passaggio. E assieme a Lauzi per la mia carriera devo dire grazie a un altro grande come Sergio Bardotti.
In queste settimane in giro per l’Italia c’è il suo tour teatrale. Qual è il suo rapporto con il pubblico?
In effetti è proprio durante un mio concerto che si scopre la verità: il disco è un pretesto, è una bella ‘fotografia’, nitida, di quello che l’artista voleva comunicare, ma è solo con il pubblico che avviene la magia. E’ qualcosa di inspiegabile. Io ho uno zoccolo duro di persone che hanno visto anche cinquanta, sessanta concerti, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Sono fan che mi seguono da tanti anni. Questo perchè ogni volta vedono un musicista che suona e canta le sue canzoni in un modo nuovo. Insieme ai musicisti, è come se la musica nascesse in quel momento.