Published on Luglio 23rd, 2015 | by Antonio Tortolano
0“Tutto quel che ho 2003-2013”. Parola a Luigi “Grechi” De Gregori
Lo scorso 7 luglio Luigi “Grechi” De Gregori è tornato sul mercato discografico con Tutto quel che ho 2003-2013. Per il folksinger romano, che avevamo intervistato a proposito del ritorno del Folkstudio, ecco dunque una collection che racchiude i brani più rappresentativi contenuti nei suoi ultimi album e racconta storie e personaggi molto cari al cantautore. La raccolta contiene diciotto brani e ripercorre i successi di De Gregori ispirati al mondo musicale d’oltreoceano ma anche a tematiche “di casa nostra”. L’album, in bilico tra il folk e l’alt-country, ripropone brani che non sono invecchiati ma che hanno ora una nuova vita. La settimana scorsa Grechi è stato ospite speciale a Roma del Vivavoce tour di suo fratello Francesco…
Come nasce l’idea di questa raccolta dei brani più rappresentativi?
Banalmente dall’ esigenza, dopo una decina di dischi, di fornire al pubblico che ancora non mi conosce un campionario di quanto di meglio ho fatto finora.
È stato difficile scegliere i pezzi dei vari album? C’è un ordine preciso?
Per niente. Sono abituato a fare le scalette dei miei concerti ed ho seguito gli stessi criteri. Quanto all’ordine, “Ma che vuoi da me” doveva essere il primo, una specie di title track: la frase “Tutto quel che ho” è proprio un verso di quella canzone. Poi gli altri brani si sono allineati in maniera naturale, come in un concerto.
A quali brani si sente più legato e perché?
In questo momento quello che mi piace di più è “Senza regole”. È impreziosito da un bellissimo intervento all’armonica di Francesco e, come atmosfera, si stacca un po’ da tutti gli altri.
Folk e Alt-Country, Italia e America. Contaminazione di generi e di culture. Cosa ci dice a tal proposito?
Al di là della faccia ufficiale non c’è dubbio che gli USA sono il paese più multietnico del pianeta. Così la sua musica. Al di là dei luoghi comuni, nel folk e nel country c’è di tutto, a cominciare dalla profonda influenza del beat africano (basti pensare che dall’Africa viene anche il banjo) e poi tanti altri ingredienti che vanno dalla musica da ballo francese a quella ispanica e latina oltre naturalmente alle ballate inglesi e irlandesi. Chi la conosce bene non può non restarne affascinato anche se la superficialità dei media è stato un ostacolo alla sua diffusione.
Quale riscontro sta avendo e si aspetta da questa collection?
Al di là delle vendite (che purtroppo risentono della crisi e della concorrenza di internet) mi aspetto un aumento dei miei concerti ed un maggiore interesse per la mia persona. Un po’ più di visibilità, insomma.
I brani non invecchiano mai, per sua stessa ammissione. Questa raccolta nasce anche con l’idea di scoprire un nuovo pubblico, anche più vasto e giovane?
Certamente.
Cosa le manca della musica di qualche anno fa e c’è qualcosa che apprezza particolarmente dei giovani musicisti e cantautori d’oggi?
Confesso che sono diversi anni che non seguo la musica che ci sta intorno, soprattutto per quel che riguarda notizie e personaggi. I miei ascolti si svolgono soprattutto in internet, perché lì posso scegliere e seguire dei miei percorsi personali. Bisogna andare molto indietro per trovare qualcuno che mi manchi, e sono purtroppo scomparsi: De Andrè, Rino Gaetano, Ivan Graziani. Di giovani cantautori ne conosco pochi e quelli che mi piacciono di più sono poco conosciuti e si chiamano Francesco D’Acri, Leo Folgori, Tiziano Mazzoni, Luca Rovini…
Un rilancio del Folkstudio riproposto poco tempo fa da lei a Roma. Esperimento riuscito?
Direi proprio di sì. Scommettevo che ci fosse interesse per una musica più ruspante di quella che gira per radio e tv e il pubblico de “L’Asino che Vola” mi ha dato ragione!
Quali sono i progetti futuri di Luigi De Gregori?
Nuovo disco, nuove canzoni, nuovi tour!