Published on Gennaio 27th, 2015 | by Antonio Tortolano
0Non è facile: Megamusic intervista Le Folli Arie
Quello di lunedì è stato un giorno decisamente significativo per Le Folli Arie, band milanese, che ha pubblicato l’omonimo album, distribuito da Believe. Un lavoro, frutto dell’incontro-scontro tra storie e percorsi molto diversi che si intrecciano creando un prog mascherato da pop con sfumature di grunge e latin/funk che raggiungono un inaspettato equilibrio. Le Folli Arie sono: Simone Corazzari (voce, chitarre, autore e produttore), Massimiliano Masciari (basso e steel drum), Francesco Meles (batteria e percussioni) e Marco Antonio Cerioli (tastiere e seconde voci). Il mix e il mastering sono affidati Lorenzo Cazzaniga. Le Folli Arie hanno deciso, per questo album, di non apparire, se non nei live. A raccontare per immagini il loro mondo è Matteo Compagnoni, autore dell’artwork del disco, con le sue creazioni surreali e visionarie. Il loror primo singolo è Non è facile.
Quale riscontro vi aspettate da questo vostro debutto?
Il momento storico per la musica inedita in Italia non è sicuramente dei migliori. In giro nei locali ormai dominano tributi e cover-band e il pubblico sembra impigrito e con sempre meno voglia di scoprire musica nuova e sconosciuta, forse anche un po’ “lobotomizzato” dal mainstream.
E’ però vero anche il contrario. Esiste ancora una piccola nicchia di pubblico curioso che va a cercarsi gruppi nuovi, va a vedersi i live di inediti e anche locali che danno ancora spazio ai brani originali (sempre meno purtroppo). E’ su di loro che vogliamo puntare. Sicuramente “Non è facile” ma ci proviamo…
La speranza è quella di ritagliarsi nel tempo una nicchia di pubblico che ami davvero ciò che facciamo e come lo facciamo. Con questo primo disco stiamo solo iniziando il cammino, cercando di fare la sintesi dei nostri quattro percorsi artistici al meglio possibile.
Come è nata la scelta come primo singolo di Non è facile?
Sarà banale ma era sicuramente il brano più “pop” e più immediato del disco. Inoltre era tra le nostre canzoni preferite.
L’incontro con Lorenzo Cazzaniga è stato di fondamentale importanza per voi. Come è partita questa collaborazione?
L’ho conosciuto tramite il mio caro amico e collega chitarrista Gianluca Del Fiol.
Si è subito rivelata una grandissima persona! Super-professionale (ha un curriculum davvero impressionante) e molto disponibile dal punto di vista umano. Si vede subito che ama da matti il suo mestiere e che mette la stessa passione e lo stesso impegno sia nel lavoro con la band emergente che con la superstar. I mix sono durati il tempo che serviva (parecchio) e non ha mai lesinato su nulla per ottenere il miglior risultato artistico possibile. Quando mixa tiene sempre d’occhio la canzone e l’equilibrio emozionale del brano come non ho mai visto fare a nessun altro in precedenza. Mixa in maniera molto artistica diciamo. Si vede che ha lavorato con tutti i più grandi artisti e ne ha fatto tesoro.
Lavorare con lui per me è stato davvero illuminante dal punto di vista della produzione artistica (amo anche produrre altri artisti e band) oltre che dal lato tecnico. Inoltre mi ha permesso di capire meglio i nostri punti di forza e di debolezza come band su cui poter lavorare in futuro.
Spero che per i prossimi lavori collaboreremo ancora perché i risultati raggiunti in questo disco sono davvero notevoli come impasto sonoro.
Pop, rock, blues, funk e molto altro. Sono tanti i generi che vi hanno influenzato. Quali band e artisti aveva ascoltato e ascoltate?
Tutti e quattro abbiamo ascolti molto vari e molto diversi fra loro. Forse in questo disco però emergono di più le mie influenze, essendone l’autore ed il produttore: Jeff Buckley, Ben Harper, Dave Matthews, Pink Floyd, Led Zeppelin, Genesis, Yes, Porcupine Tree, PFM, Lucio Battisti, Daniele Silvestri, Niccolò Fabi,..
Elencare gli ascolti di tutti credo sia impossibile: dal jazz al death metal, passando dai Red Hot, dal grunge e dal prog…direi…
Come mai la scelta di non apparire?
Ci piacerebbe riportare al centro della discussione e dell’attenzione la Musica, togliendo tutti i fronzoli superflui di packaging ed immagine (che purtroppo oggi dominano il mercato discografico e la società in generale). Sarebbe molto bello se il pubblico usasse di più le orecchie e meno gli occhi nello scegliersi i propri ascolti. Sicuramente certa robaccia non avrebbe il successo che invece ottiene.
Inoltre è molto più divertente fare videoclip senza comparire col solito playback e creare mondi surreali per le copertine e le locandine (il talentuoso Matteo Compagnoni è l’autore dell’artwork del disco, con le sue creazioni surreali e visionarie, evocative e sconvolgenti al tempo stesso). E poi ci piace molto il fatto che per vederci in faccia si debba venire ai nostri concerti. Forse l’utopia che cerchiamo di concretizzare con questa scelta è semplicemente di esprimerci esclusivamente tramite la nostra produzione artistica e lasciar stare tutta quella parte di show-biz che non amiamo particolarmente.
La crisi dell’industria discografica? Meglio le major o le etichette indipendenti?
Wow, bella domanda. Crediamo che l’industria discografica non sia più in crisi ma sia ormai morta. Il fatto è che il concetto di comprare dischi fisici semplicemente non esiste più e per chi fa musica (e magari ci vuole pure campare) è impossibile pensare come si faceva in passato. Non ci sono più royalties milionarie e con la rivoluzione tecnologica anche la funzione dell’etichetta viene sempre meno. Oggi fare dischi è più semplice che mai anche se per avere prodotti di qualità servono sempre e comunque gli studi attrezzati e i professionisti capaci. Forse la strada per le band emergenti sta nell’essere indipendenti di fatto e scegliersi tutti i collaboratori migliori per le proprie tasche, senza cedere edizioni o percentuali in cambio del nulla. Forse in futuro esisteranno tante piccole etichette che supporteranno davvero gli artisti esordienti, disposte a investire per più della durata di un singolo. Forse faranno il mazzo alle major morenti. Non lo sappiamo.
Sicuramente qualche piccola etichetta disposta a investire davvero su progetti nuovi esiste ancora da qualche parte nel mondo. Se è così, fatecelo sapere! Finora le offerte che ci sono arrivate non sono state all’altezza delle nostre aspettative; nessuna etichetta ci ha offerto qualcosa che non potessimo trovare altrove, per conto nostro, con collaboratori scelti da noi, addossandoci tutto il rischio ma anche tutti i benefici.
Dei talent show cosa ne pensate?
Non bene! Che siano l’ultima spiaggia per le tre major per non estinguersi del tutto. Gli show preparano dei prodotti discografici fatti e finiti che garantiscono un po’ di introiti alle multinazionali del disco senza fare tutto il talent scouting e il lavoro sugli artisti che dovevano farsi una volta. Per le major sicuramente un buon investimento. Per la musica che ne esce, gli artisti che si danno in pasto e il “danno d’immagine” alla Musica e al mestiere del musicista (che si impara con anni di sacrifici, suonando, cantando, studiando e facendosi il culo in ogni dove e non andando davanti ad una giuria più o meno competente a farsi giudicare) non è sicuramente un bell’affare. A parte che dare il voto in arte è davvero un abominio secondo noi.
Poi sicuramente ci passano dei gran bei talenti, grandi voci, grandi interpreti. Ma pochi durano e la maggioranza di loro sono fagocitati dallo show-biz e non riescono a farlo diventare il loro mestiere.
Per noi non è sicuramente quella la strada per diventare degli artisti anche se oggi, agli occhi di molti, è l’unica alternativa possibile.
Una band italiana che apprezzate particolarmente?
Una su tutte, la PFM sicuramente.
Progetti futuri?
Tantissimi, ma la cosa che al momento ci preme di più è di fare più live possibili e portare la nostra musica in giro per l’Italia. Si inizia con la data zero al Blues House di Milano l’ 1 febbraio. Vi aspettiamo tutti là!