interviste

Published on Marzo 4th, 2014 | by Antonio Tortolano

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Megamusic intervista Dario Yassa

Lo scorso 18 febbraio è uscito Tribe, il nuovo album di Dario Yassa, pianista jazz, accompagnato da Mattia Magatelli (contrabasso) e Riccardo Tosi (batteria). Dopo essersi diplomato al Conservatorio Vivaldi di Milano, il musicista meneghino, di padre egiziano, ha studiato improvvisazione alla Manhattan School di New York. In 20 anni di attività, Dario Yassa ha suonato in tantissimi teatri, jazz club e festival, sia in Italia che all’estero, risultando particolarmente apprezzato in Francia, Svizzera ed Egitto. All’attività concertistica affianca da diversi anni quella di docente di strumento ed educazione musicale. Tribe (etichetta Music Center) è caratterizzato da un grande equilibrio tra lirismo melodico e una ritmicità viva ed elastica sempre attenta alla scrittura compositiva del brano. Abbiamo rivolto alcune domande a Dario Yassa che ci parla dei suoi diversi progetti.

Dario, Tribe è uscito da qualche settimana. Come nasce questo tuo nuovo lavoro?

L’idea era di costruire un racconto che si sviluppasse attraverso i vari brani. Sono dei piccoli quadretti, degli spunti a tema che possono lasciare libero l’ascoltatore di fantasticare e crearsi le proprie immagini musicali. In questa direzione si muovono anche tutte le varie sonorità che grazie ai miei due amici musicisti siamo riusciti a proporre in questo lavoro.

Quale riscontro ti aspetti da parte di pubblico e critica?

Spero ottimo! Scherzi a parte, mi piacerebbe ovviamente che questo lavoro fosse valorizzato, l’impegno è stato notevole come pure il nostro entusiasmo. I live sono naturalmente il modo migliore per accattivare il pubblico e tenere alta l’attenzione della critica, quindi bisogna suonare!

Facciamo un passo indietro, quanto è stato importante per te studiare improvvisazione alla Manhattan School di New York?

Quando sono stato a New York ho avuto subito a che fare con una quantità esorbitante di musicisti, bravissimi, competenti e molto molto disponibili. Gli insegnanti dal canto loro miravano a tirar fuori il bello da ciascuno studente, partendo sempre cioè dalle abilità di ognuno di noi. In questo senso tutti gli studi classici mi sono stati utilissimi. In particolare grazie a Barry Harris e ai suoi preziosissimi consigli sono riuscito a sviluppare un linguaggio musicale a me congeniale e a lavorarci, allora come adesso.

Hai la possibilità di farti apprezzare non solo in Italia, ma anche all’estero. Che differenze noti tra il pubblico nostrano e quello degli altri paesi?

Diciamo che all’estero non è così importante chi sei, tutti hanno la possibilità di provarci e anche di riprovarci e questo si percepisce immediatamente e dà calore durante le performance. Inoltre viene spesso apprezzata l’originalità di un musicista, in qualunque direzione si muova, valorizzandone gli aspetti positivi presenti in ogni lavoro musicale.

Del panorama nazionale, quali jazzisti apprezzi maggiormente?

Ho avuto e ho tuttora molti riferimenti che hanno contribuito alla mia evoluzione musicale. Vivendo e studiando a Milano sono venuto a contatto con musicisti come Enrico Intra, Franco Cerri e Paolo Birro che apprezzo e stimo moltissimo.

Nel 2011 è nata Obiettivo Musica. Cosa ci dici di questo progetto?

Obiettivo Musica è una Cooperativa sociale di lavoro, una scuola di musica e tanto altro. È nata con l’intenzione di diffondere il più possibile ed in ogni modo l’amore per la musica e dare un’alternativa lavorativa a musicisti interessati al progetto. Per fare ciò è stato necessario avvalersi dell’apporto volontario di alcuni fra noi, disposti a credere nel progetto e a mettere a disposizione della scuola le proprie competenze. Il tutto finalizzato a dare una valida risposta alle esigenze di bimbi, mamme, adulti e realtà locali che si avvicinavano o coltivavano il proprio interesse per la musica. Lavoriamo quindi con allievi che vogliono studiare uno strumento, ma anche coi Centri di Aggregazione Giovanili (e non) dei Comuni, nelle carceri, nelle scuole statali di ogni ordine e grado, promuoviamo lezioni/concerto e via dicendo.

Cosa si può fare in Italia per far conoscere ancora di più il jazz?

È importante avere più possibilità di suonare, dal piccolo locale al Festival di nome, come è importante che i vari enti organizzatori siano messi nelle condizioni burocratiche ed economiche favorevoli alla promozione del jazz, ma in genere di tutta la musica. È fondamentale che questo modus operandi non sia l’eccezione di un club o festival o teatro in una determinata città, bensì che diventi l’abitudine naturale per la fruizione di questo genere musicale un po’ dappertutto. Anche i programmi radio sono molto importanti per la diffusione del jazz, magari non solo di notte…

Insegni in diverse scuole. Qual è il livello dei nostri giovani a livello musicale?

I giovani sono sempre affascinati dalla musica, dal potere che essa ha di coinvolgere, emozionare ed esprimere. Naturalmente il livello, non solo in campo musicale, è direttamente proporzionale alla diffusione della cultura. Personalmente ritengo che qualche anno fa si respirasse più musica in Italia, in teoria la diffusione di internet avrebbe dovuto favorire un maggior ascolto, in pratica, soprattutto nei più giovani, crea molta confusione sul cosa ascoltare. La nota positiva che osservo in molti miei studenti è che non sono sempre appagati dai modelli mediatici.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Adesso vorrei occuparmi di questo disco, avrò dei concerti in trio, in quartetto e penso di partecipare a Piano City a Milano. Non nascondo di essere già parzialmente proiettato al prossimo lavoro, ma questa è un’altra storia…

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Nato a Cassino, ai piedi della celebre abbazia, sono cresciuto con la passione per lo sport e per il giornalismo. Roma prima e Milano poi mi hanno accolto per farmi compiere il salto di qualità. Lavorare in tv e per la carta stampata non mi bastava più e allora dal pallino per la rete ecco nascere lospaccatv, megamusic e lamiaradio, tre magazine online di cui vado fiero...



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