Published on Aprile 11th, 2014 | by Antonio Tortolano
Man Overboard: Megamusic intervista Ed Ward
Oggi su Megamusic vi proponiamo l’intervista a Edoardo Santini, in arte Ed Ward, cantautore italo-scozzese che ha pubblicato Man Overboard, il suo disco d’esordio (Rbl Music Italia). L’album di Ed Ward, 26 anni, contiene otto brani tutti in inglese, prodotti da Niko Cutugno. Le canzoni propongono testi molto differenziati, che spaziano da spunti autobiografici a racconti di fantasia. Il country e il blues-rock entrano prepotentemente in questo lavoro che Ed Ward propone con la sua band, con l’intenso utilizzo del violino e della fisarmonica.
Edoardo, come nasce il tuo album d’esordio Man Overbard?
Negli ultimi anni ho sempre scritto molto e col tempo è nata in me la necessità di “fissare” in qualche modo il percorso che stavo seguendo, realizzare qualcosa di concreto che potesse rappresentare quello che faccio. In questo senso un disco è un po’ come una fotografia, e le canzoni che lo compongo sono fotogrammi. La cosa difficile è stata più che altro selezionare i brani migliori, i più adatti a “convivere” insieme nello stesso album. Le storie infondo sono diverse, e anche musicalmente non si può dire che sia un lavoro del tutto uniforme ma questo riflette perfettamente la situazione in cui mi trovo! Io stesso ho difficoltà ad inquadrare del tutto la strada che percorro, a vedere chiaramente dove sto andando musicalmente parlando. Del resto quando mi metto a scrivere non è che pensi molto a quello che sto per fare, mi lascio trasportare dal mood in cui mi trovo. Da questo punto di vista direi che il disco è riuscito perfettamente: volevo fissare, mettere nero su bianco, ma non “inquadrare”. Spesso ho lasciato il volante e sono rimasto a guardare..anzi, ad ascoltare quello che succedeva.
La realizzazione pratica è stata lunga ma mi ha regalato molte soddisfazioni. L’arrangiamento e le riprese, le centinaia di ore in studio e il missaggio. Sono stati giorni stancanti ma quando a fine sessione riascoltavo il materiale rimanevo sempre senza parole. Non pensavo di riuscire a mettere in piedi un lavoro tanto ben fatto, ovviamente parlo per quelli che erano i miei standard fino ad appena un anno fa. Ho avuto la fortuna di lavorare con musicisti di grande talento e fama, persone ottime oltre che professionisti che stimo moltissimo.
Spunti autobiografici e racconti di fantasia. Come sei riuscito a racchiudere questi due mondi diversi in un unico album?
Per me non è che faccia molta differenza, nel senso che se una storia è bella non mi interessa sapere se sia vera o falsa. E’ così che approccio alla musica anche da ascoltatore. Che le cose che dico siano successe o non lo siano nella realtà non mi interessa, a me basta che esistano nelle canzoni che scrivo. Tra l’altro credo che se ci sia qualcosa che una canzone comunica la si può trovare ovunque fuorché nel testo, mi fido poco delle parole. Penso che la maggior parte della comunicazione avvenga attraverso la linea melodica e l’armonia di base, il testo viene e verrà sempre dopo.
Otto brani, tutti in inglese. Quella della lingua è una scelta definitiva o in futuro ti aprirai anche all’italiano?
Non ne ho la più pallida idea. In futuro può succede sempre tutto e se non mi sono ancora concentrato molto sull’italiano non è perché abbia dei pregiudizi o non apprezzi la musica nostrana (anche se qui dovrei aprire un discorso a parte) ma semplicemente perché trovo l’inglese molto più musicale. Scrivere in inglese mi viene naturale, soprattuto per via del “genere” di canzoni che a me piace scrivere. E poi forse è anche per il discorso delle parole che facevo prima: in inglese posso concedermi il lusso di concentrarmi a pieno sui suoni, prima ancora di fissare il testo. Anche il francese è una lingua che conosco bene e in cui mi piacerebbe scrivere.
Folk, country, blues, musica popolare. Raccontaci di questa contaminazione di generi…
Direi che più che altro è stata una soluzione venuta da sé. Mi sono sempre piaciute sonorità di questo tipo anche se non sono un patito di nessuno di questi generi in particolare. Ma adoro il suono del violino e della fisarmonica, la batteria suonata con le fruste, il contrabbasso, i cori e i ritmi tipici del country e dalla musica popolare. E’ un genere di sonorità che mi ha sempre trasferito un immagine genuina, spontanea, fresca. Soprattutto ballabile. E poi dai, il gusto del retrò…
Quell’esperienza a Londra nel 2012 quanto è stata importante per te per la tua crescita artistica?
Londra è stata importante soprattutto come prova del nove. Scrivere in inglese in Italia è già una sfida azzardata, per questo ho sempre cercato almeno di farlo come si deve, non forzando la lingua e anzi usandola nel modo più naturale possibile. Ma nonostante mi sforzassi di fare un buon lavoro, ero ancora convinto che ascoltandomi le persone in Inghilterra avrebbero capito la metà di quello che dicevo, io che mi ero sempre preoccupato della pronuncia e tutto il resto. Per quanto conoscessi bene la lingua ero ancora molto insicuro. E invece è andata alla grande, ho suonato un po’ ovunque tra pub e locali della città, anche in strada e nei parchi, alle fermate della metro. Sia il pubblico dei club che le persone per strada recepivano a pieno quello che dicevo, oltre al fatto che sembravano apprezzare moltissimo le canzoni in generale. Era la mia ultima preoccupazione, ora me la sono tolta.
A proposito quali sono state le tue principali influenze nel corso degli anni?
Qualche anno fa ascoltavo molto rock, soprattutto i gruppi storici degli anni 60’/70′, poi i Beatles ovviamente, i Deep Purple, i Doors. Insomma avevo una cultura musicale principalmente rock. Ma presto ho sentito che per quanto potesse piacermi non era affatto il mio mondo. Continuavo a cercare e dopo un’infinità di ascolti e consigli mi sono imbattuto in tutta una schiera di cantautori e gruppi contemporanei che mi hanno veramente cambiato la testa e il modo di vedere la musica. Paolo Nutini, Bon Iver, Edward Sharpe & The Magnetic Zeros, Mumford & Sons, Beirut, Blur, Grizzly Bear, Fleet Foxes. La lista sarebbe lunghissima ma questi sono quelli che più ascolto.
Cosa ne pensi della crisi dell’industria discografica? Meglio le major o le etichette indipendenti?
Credo che le Major abbiano un merito enorme o almeno lo avevano quando ancora facevano a pieno il loro lavoro (che, ricordiamolo, è quello di andare in giro a scoprire e coltivare talenti e musicisti meritevoli, e NON tentare in maniera anche un po’ goffa di “creare” personaggi, storie e canzoni basati sul nulla). Se il sistema delle grandi etichette è entrato in crisi non è un caso. Credo che la situazione oggi sia questa perché la direzione che il mondo della musica stava prendendo lasciava ampie fette di ascoltatori insoddisfatti. Grazie a internet le piccole etichette sono riuscite a ritagliarsi uno spazio sempre maggiore nel panorama musicale, soprattutto perché nel frattempo le major si erano incancrenite ancora di più su certi standard e scelte, sicuramente più redditizie ma poco coraggiose. Dal canto loro molte etichette indipendenti (ovviamente non tutte), proprio per opporsi alle major e andare controcorrente, si sono divise per categoria e spesso si rinchiudono nei loro generi “di nicchia” staccandosi forse un po’ troppo dalla massa. Io sono del parere che la musica debba essere popolare, nel senso ampio del termine, cioè fruibile da (quasi) tutti. Il compromesso probabilmente è nel mezzo.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Bella domanda. Sicuramente continuare con questo progetto, cercare di portarlo ovunque riesco ad arrivare. A maggio mi trasferisco per qualche tempo a Berlino, dicono sia una città fantastica e offre sicuramente molte più opportunità di quante possa trovarne qui. Nel frattempo sto curando molto l’aspetto live e qui a Roma sto suonando moltissimo dal vivo proprio in vista della partenza. Per il resto più che di progetti è meglio parlare di speranze: credo in quello che faccio e amo scrivere, amo cantare. Per quante difficoltà possa incontrare è difficile che rinunci, anzi. Ogni giorno mi sveglio più convinto che la mia strada sia questa. Registrare “Man Overboard” mi ha dato una carica enorme e penso onestamente di essere riuscito a creare un buon prodotto. Ascoltare per credere!