Published on Marzo 22nd, 2014 | by Il Graffio
0Yellow Moor: il nuovo progetto di Andrea Viti e Silvia Alfei
Esce in questi giorni, con etichetta Prismopaco Records l’omonimo debut album dei Yellow Moor, il nuovo progetto di Andrea Viti ( Karma, Afterhours, Juan Mordecai, Dorian Gray e numerose collaborazioni internazionali tra cui Mark Lanegan, Hugo Race, Nick Cave) e Silvia Alfei (artista visiva, song-writer, danzatrice e performer professionista dal 2001).
Tutto è nato da una domanda di Silvia ad Andrea, in moto, a maggio, mentre costeggiavano una landa di fiori gialli (Yellow Moor, appunto): “Perché non facciamo un disco? Non credi sia arrivato il momento?”.
Di lì a poco, quel campo di fiori gialli avrebbe fatto da culla a un progetto, che non è solo musicale.
Yellow Moor è un’esperienza, una testimonianza vera e tangibile di voler fare qualcosa per cambiare la propria vita.
Andrea e Silvia sentivano l’urgenza di un cambiamento che consentisse libertà di lavoro e di espressione che Milano non contempla, con i suoi ritmi e il suo essere claustrofobico. Trovano un vecchio casale, poco fuori il capoluogo, in mezzo ai boschi, vicino al fiume. Proprio davanti, una landa di fiori gialli, ancora una volta.
“Una scelta estrema, per rimetterlo in sesto e per renderlo vivibile ci sono voluti mesi di lavoro, braccia ed energia per trasformarlo in un luogo abitabile, ma era l’unica soluzione per poter creare e pensare di realizzare un disco”,affermano Silvia e Andrea.
Alimentati da fatica e sacrificio, ma anche da speranze e sogni, nascono le composizioni delle dieci tracce, come “Across this night”, dove la notte è testimone di pensieri, dubbi, tristezza, dove nasce il bisogno di trovare un’anima affine con cui poter condividere la parte più oscura del cuore (“Across this night, suspicion knocking at my door, I try to realize, we’re still fragile. Tears in this dark cage of mine ‘cause I want to see us shine again”), o “Seven Lizards”, che apre lo sguardo ai campi sterminati, a una visione positiva del vivere solitari e lontani da ciò che viene considerato mondo dove, seppur in lotta con i propri demoni, si trova la fonte per visioni extra-ordinarie che regalano sorrisi (“In the middle of a season where the wind never dies down, the forest born again to be cut down, as I stand here watching seven lizards in the sun to give me another smile…”).
Altri brani raccontano momenti di smarrimento e di confusione, di esperienze difficili legate al passato, come “They have come” (“Pull the trigger let’s be done, hit the city it’s so hard in a hopeless situation, am I the only one who’s wrong?”) e “Out of the city” (“Getting out of town and the way out is here, against the wall of a broken dream. I won’t surrender no more to the false gods they gave me before ‘cause I’m dreaming, dreaming, dreaming…”).
La voglia di gridare al mondo che qualcosa bisogna fare e che questo dannato velo di vacuità che ricopre le cose va necessariamente dissacrato si innesta in “Covering things” (“I saw something beautiful one day a few years ago and it seemed so beautiful it will be shown to the world, blow away the blankness covering things”).
Poi si ride, pensando alla trappola del successo, inteso come apparenza, sprechi, falso potere e ostentazione, prende forma quindi “Supastar”, brano ironico e ambiguo (“And it’s evident, I bleed! Come in and roll me over, it’s the only thing I need, when my head is gone all is convenience for me and let’s work it to the bone, Oh people, it’s so hard to be a supastar to kill”).
Un disco, quello dei Yellow Moor, che è una raccolta di appunti di vita quotidiana raccontati con passione dall’intenso e suggestivo intreccio di voci di Andrea e Silvia che, con estrema sensibilità, ti portano in viaggio con loro attraverso quella colorata landa di fiori gialli.